Settimelli Emilio
Nacque a Firenze il 2 agosto 1891 da Ferdinando, medico condotto, e da Elvira Guidi; ebbe tre sorelle, Margherita, Emma, Bianca, e un fratello, Giovacchino (1896-1966), disegnatore e caricaturista, noto con lo pseudonimo Giulio Spina.
Durante l’infanzia e l’adolescenza visse nel quartiere di San Frediano, nel centro storico fiorentino, dove la famiglia aveva una farmacia. Fin da allora si manifestarono in Settimelli una febbrile passione per la scrittura e un altrettanto intenso impegno in difesa dell’arte, attraversati entrambi «da una rabbia anarchica e da un “teppismo” sanfrianino facinoroso e pressoché incontrollato», caratteristiche che costituirono «i tratti essenziali del suo singolare temperamento» (M. Verdone, in E. Settimelli, Il codice della vita energica…, a cura di M. Verdone, 2003, p. XI).
In effetti, nonostante il clima familiare sostanzialmente sereno, gli anni della gioventù furono assai turbolenti, dominati dalla tendenza alla ribellione e da una naturale inclinazione alla colluttazione, tanto da rendersi protagonista di un significativo numero di vertenze cavalleresche e di querele: «nato e cresciuto in una famiglia di piccoli borghesi bene educati e pacifici, ebbi la mia culla fra i coltelli e le risse» (Novecento ottocentesco, in E. Settimelli, Testimonianze, cit. in Verdone, 1992, p. 11). In Settimelli, che poteva vantare un’aristocraticità di origine medioevale, riflessa nel suo elegante modo di vestire da cavallerizzo, con gambali e bombetta, convivevano infatti il popolano alla Ottone Rosai e il poeta maledetto alla Dino Campana.
Nella prefazione a Sassate (Roma-Firenze 1926), scrisse di avere sempre amato la polemica e di avere avuto fin da ragazzo «un grande amore per il ciottolo, la scheggia, il sasso […] perché una sassata può liberar d’un nemico, abbattere un frutto, provare i nervi ed il cranio» (ibid., p. 3). Una vena irruenta che trovò presto espressione anche in un’accesa campagna antidannunziana e anticrociana condotta fin da quando nel novembre del 1909, a soli 18 anni, collaborò assiduamente con contributi critici letterari alla rivista fiorentina La Difesa dell’arte, diretta da Virgilio Scattolini. Si trattò della prima esperienza di un’intensa carriera pubblicistica, segnata da un incessante succedersi di giornali e riviste. Tra queste Il Centauro, che Settimelli fondò a Firenze con gli amici Mario Carli e Bruno Ginanni Corradini (poi ribattezzato Bruno Corra), del quale uscirono 14 numeri tra il novembre del 1912 e il febbraio del 1913. Sulle colonne del nuovo foglio – seguito a breve da Rivista: settimanale d’arte, di scienza e di vita (aprile-agosto 1913), diretta insieme a Corradini –, fu propugnata una libertà d’espressione artistica cui doveva corrispondere un approccio critico basato su una valutazione in termini scientifici e oggettivi.
L’elaborazione di questa nuova metodologia ebbe una lunga gestazione fin quando nel 1914 Filippo Tommaso Marinetti pubblicò a Milano il manifesto Pesi, misure e prezzi del genio artistico, a firma di Corradini e dello stesso Settimelli: le loro idee, che sostenevano la negazione del passato artistico e l’identificazione di arte e vita, vennero infatti ben presto a coniugarsi con i principi del movimento futurista, contro cui inizialmente avevano rivolto ripetuti attacchi.
Nel Centauro trovò ampio spazio anche il teatro, una tra le maggiori passioni di Settimelli, tanto da decidere di acquistare nel 1913, insieme a Corradini, «la Compagnia dei Grandi Spettacoli diretta da Gualtiero Tumiati» (Verdone, 1992, p. 15), il cui repertorio pensarono di vivificare rappresentando il dramma di Marinetti Elettricità (1913).
A quel periodo risalgono i suoi primi lavori teatrali prefuturisti, un percorso precocemente superato in nome di un teatro capace di «esprimere stati d’animo lirici e situazioni mentali pure, […] un teatro sintetico liberissimo» (Verdone, 1992, p. 15), in sintonia quindi con quanto espresso dal padre fondatore del futurismo.
A un’intensa attività di autore di sintesi, si unì un particolare impegno in qualità di divulgatore di teatro d’avanguardia, di cui nel 1915 il manifesto del Teatro futurista sintetico, firmato insieme a Marinetti e Corra, costituì uno dei contributi più significativi. Queste prime esperienze rappresentarono un capitolo fondamentale della formazione culturale di Settimelli così come della cerchia di giovani letterati di cui fece parte, i quali incarnarono la figura dell’intellettuale sovversivo al crocevia dell’interventismo e dettero vita, durante gli anni della Grande Guerra, al cosiddetto secondo futurismo fiorentino. La nuova avventura ruotò tutta attorno alla rivista L’Italia futurista (giugno 1916-febbraio 1918), fondata a Firenze da Corra e da Settimelli, che vide protagonista un coeso nucleo di collaboratori, una sorta di «collettivo creativo» (Verdone, 1992, p. 29), noto con il nome di «pattuglia azzurra».
Nell’articolo programmatico di apertura Settimelli prese le distanze dai futuristi della prim’ora raccolti attorno a Lacerba, rivolgendo un accorato «abbraccio di noi futuristi fiorentini – i primi veri futuristi fiorentini – al carissimo fratello F.T. Marinetti, il geniale poeta, il suscitatore maraviglioso, l’uomo nuovo pronto a tutte le audacie, che tanto ci ha aiutati nell’incanalare le nostre cospicue energie disordinate» (cfr. L’Italia futurista, I (1916), 1, p. 1). Molteplici i temi che vi furono trattati, dall’occultismo al teatro, dalla scienza al cinema – nel 1916 Settimelli fu tra i firmatari dei manifesti della Scienza futurista e della Cinematografia futurista, oltre a prendere parte, anche come interprete, alla realizzazione del film Vita futurista –, dall’interventismo alla politica.
Arrestato a Roma il 12 aprile 1915, insieme con Benito Mussolini e Marinetti, durante una manifestazione interventista davanti alla Camera, Settimelli, che, esonerato per insufficienza mitrale, non poté prendere parte alla prima guerra mondiale, dedicò particolare attenzione al dibattito politico del tempo: «Il partito politico futurista che stiamo elaborando ci porterà in contatto con le masse e varerà il nostro grande sogno nella intera compagine nazionale rendendolo aspirazione di popolo» (cfr. L’Italia futurista, II (1917), 35, p. 1).
Parallelamente continuò intensa l’attività letteraria, con poemi in prosa e opere di narrativa: Avventure spirituali (Milano 1916), Mascherate futuriste (Firenze 1917), Nuovo modo d’amare (Rocca S. Casciano 1918), I capricci della duchessa Pallore (Rocca S. Casciano 1918), cui seguirono Si amarono così!… (Milano 1920), Donna allo spiedo (Milano 1921), Strangolata dai suoi capelli (Milano 1921).
Trasferitosi a Roma al principio del 1918, Settimelli fondò, insieme a Corra, Lo specchio dell’ora (maggio-luglio 1918), con contributi sulla morale sessuale e in favore della guerra quale momento di rinnovamento della realtà; quindi, con Marinetti e Carli, Roma futurista (settembre 1918-maggio 1920), «giornale del Partito politico futurista». Nel frattempo diresse con gli amici Carli e Remo Chiti un nuovo foglio romano, essenzialmente letterario, Dinamo, di cui uscirono solo sette numeri nel 1919; nello stesso anno, fedele a un’azione nazionalista, anticlericale e antimonarchica, inviò l’adesione ai fasci di combattimento di Firenze, fu tra i sostenitori dell’impresa di Fiume e partecipò, nella sezione delle tavole parolibere, alla Grande esposizione nazionale futurista di palazzo Cova a Milano, dove intanto era andato a vivere. Le versatili qualità di Settimelli e il suo ribellismo trovarono parimenti espressione nella collaborazione al settimanale antibolscevico I nemici d’Italia di Armando Mazza e nella direzione, con Carli, di una Collezione futurista di volumi edita presso Ugoletti. Tuttavia, in seguito al fallimento dell’impresa di Fiume e venute meno le speranze di attuare una rivoluzione, in Settimelli si innescò un processo di revisione che nel 1921 lo portò a uscire dalla direzione del movimento futurista, mosso dalla necessità di confrontarsi con i mutamenti nel nuovo quadro politico e dall’esigenza di farsi portavoce della cultura fascista. Dopo le parentesi dei settimanali L’Uomo e l’idea (1921) e Il Principe (1922), Settimelli, che intanto aveva pubblicato testi come Benito Mussolini (Piacenza 1922), Colpo di stato fascista? (Milano s.d. [ma 1922]), Sassate, intraprese una nuova e impegnativa avventura giornalistica, dando vita nel marzo del 1923, insieme a Carli, a L’Impero, cessato nel settembre 1933.
La nascita del quotidiano romano s’inquadrava «nell’ambito di un più vasto piano di sviluppo e potenziamento della stampa fascista e ‘fascistizzata’, iniziato con grande spiegamento di mezzi» proprio all’indomani della ‘marcia’ su Roma (Scarantino, 1981, p. 49). Nel corso della complessa vicenda dell’Impero, il rapporto di Settimelli con Marinetti e il futurismo venne delineandosi su posizioni sempre più distanti tali da portare nel 1933 alla sua scomunica «posta in votazione dallo stesso Marinetti […] da parte degli scrittori riuniti in congresso a Bologna» (Buchignani, 1988b, p. 213), con il pretesto di avere favorito i «critici esterofili» (E. Settimelli, Al buon Marinetti, in L’Impero, 21 maggio 1933, p. 1).
Una volta tornato dalla guerra d’Africa, per la quale era partito volontario, Settimelli, che durante l’esperienza dell’Impero aveva conosciuto Giovanna Rocchi, originaria di Subiaco e con cui viveva more uxorio (E. Settimelli, Il codice della vita energica…, cit., p. XXVII), madre delle sue figlie, Emilia ed Elvira – nate a Roma, rispettivamente, nel 1933 e nel 1935 –, mise in piedi Il Riccio, settimanale fascista poi soppresso (novembre 1936-gennaio 1937). I ripetuti attacchi agli uomini del duce per gli ingiustificati privilegi di cui godevano e per la loro «più sfacciata corruzione» (v. E. Settimelli, Ordine d’assassinarmi: un giallo vissuto, Milano s.d. [ma 1947], p. 18), determinarono infatti polemiche crescenti fino all’espulsione di Settimelli dal Partito nazionale fascista nel 1937 e nel 1938 per ordine di Achille Starace, così come era avvenuto nel 1927 e nel 1929 a opera di Augusto Turati.
Una volta reintegrato e tornato in possesso del passaporto, lo scrittore decise di trasferirsi in Francia da dove il 24 maggio 1938 scrisse a Mussolini una lettera-denuncia ancora molto dura nei confronti dei gerarchi, «una cricca di ladri, d’assassini, di intriganti e di dementi». Considerato ormai un traditore, nel 1939, dopo il rientro in Italia per ricongiungersi alla famiglia, venne arrestato e condannato a cinque anni di confino, poi ridotti a quattro, trascorsi nelle isole di Ponza, Ventotene, Lipari e infine a Sorrento. A quel periodo risale la conoscenza con Bernardino Re, vescovo di Lipari, che il 13 aprile 1940 consacrò l’unione con Giovanna Rocchi e cui Settimelli fu grato «per aver rettificato cristianamente» la sua vita (E. Settimelli, Il codice della vita energica…, cit., p. XXIX).
Dopo il 1943 numerosi furono i disagi incontrati dallo scrittore sempre più isolato e costretto ad arrangiarsi, tra Roma, Milano e Firenze, con sporadiche e precarie collaborazioni giornalistiche, all’Ente italiano per le audizioni radiofoniche, e con traduzioni; ma le difficoltà affrontate furono tali da convincerlo a ritirarsi a Lipari, dove giunse nel 1949. Qui abitò a Marina Corta, vivendo del proprio lavoro di pubblicista. Fu in quel tempo che scrisse Edda contro Benito (Roma 1952), subito sequestrato, che gli procurò una nuova causa.
Morì il 12 febbraio 1954 per una emorragia interna e oggi riposa nel cimitero dell’isola. L’elogio funebre fu tenuto da un amico, ex partigiano, il comunista Leonida Bongiorno.
Un esempio del Teatro Sintetico di Emilio Settimelli Il Superuomo Salotto. In fondo, un balcone, ampio. È sera. Estate. IL SUPERUOMO. Sì... ogni battaglia è finita! la legge è passata!... ormai non ho che da raccogliere i frutti delle mie fatiche. L'AMICA. E ti dedicherai di più a me, non è vero? Confessa che mi trascuravi molto in questi giorni... IL SUP. Lo confesso!... ma cosa vuoi! si è presi, si è avviluppati... non si può fare a meno! La politica non è poi così facile come ti sembra... L'AM. A me pare una cosa tanto buffa!... (Dalla strada, grande rumore di folla, repentino, assordante). IL SUP. Che c'è?... cos'è questo rumore?... L'AM. Della gente... (Andando al balcone) una dimostrazione. IL SUP. Già: una dimostrazione... LA FOLLA. Viva Sergio Walescki!... Viva Sergio Walescki!... Viva l'imposta progressiva! fuori!... fuori!... parli Walescki!... parli!... L'AM. Vogliono te... è per te!... Vogliono che tu parli... IL SUP. Quanta gente!... si riempie tutta la piazza; ci saranno diecimila persone!... IL SEGRETARIO. Onorevole! La folla è imponente: si vuole che parliate... per evitare incidenti, sarebbe bene che parlaste!... L'AM. Parla!... parla!... IL SUP. Parlerò... Fate portare le lumiere... IL SEGR. Subito. (Esce). LA FOLLA, sempre più distintamente. Fuori!... Fuori Sergio Walescki!... Parli! parli!... Viva l'imposta progressiva!... L'AM. Parla, Sergio!... parla... IL SUP. Parlerò... te l'ho detto... SERVI, portano le lumiere. L'AM. Che bel mostro, la folla!... È l'avanguardia di tutta la generazione che il tuo genio porta in marcia verso l'avvenire. Bella!..... bella!... IL SUP., nervoso. Ti prego, ritirati!... (Va sulla terrazza. Enorme ovazione; grida di evviva. Sergio s'inchina, poi fa cenno di voler parlare. Silenzio completo). Grazie del vostro affettuoso invito!... Godo maggiormente di parlare ad una libera folla che ad un assieme di deputati... (Applausi enormi). L'imposta progressiva non è che un piccolo passo verso quella giustizia che finirà col trionfare! (Ovazione). Vi giuro solennemente che mi avrete sempre con voi! che non vi ho posti in marcia per dirvi un giorno: arrestiamoci! Noi andremo sempre avanti!... Ormai l'intiera nazione è con noi... per noi essa si muove e ingigantisce!... (Ovazione). Continuate la vostra dimostrazione!... godete la vostra gioia!... Che la capitale sappia il trionfo della nazione!... (Ovazione prolungata. Sergio s'inchina e si ritira. Applausi e voci di Fuori! Fuori! Sergio si presenta a salutare e rientra). L'AM. Com'è bella! com'è bella la folla!... (Sergio è di nuovo chiamato fuori). Ancora ti vogliono, ancora!... IL SUP., torna a salutare, poi chiama il servo. Togliete le lumiere... L'AM. Stasera ho sentito che sei tu il padrone del nostro paese!... ho sentito la tua forza!... Tutti ti seguono... Io ti idolatro, Sergio. (Lo abbraccia). IL SUP. Sì, Elena!... sono finalmente l'arbitro: nessuno può resistermi!... è un popolo in marcia che io conduco!... L'AM. Mi è venuta un'idea, Sergio... dovremmo uscire. subito: voglio godere più davvicino questa città inebbriata. Vado a vestirmi. Vuoi? IL SUP. Sì... Vai. usciremo. (Stanco, si abbandona su di una poltrona. Pausa. Si rialza, va verso il balcone. A un tratto, da un uscio sbuca un uomo forte e rude, attraversa la stanza, afferra Sergio alla gola, e lo scaraventa giù dal balcone. Poi, cauto e frettoloso, scappa di dove è venuto).