Korompay Giovanni
Venezia, 1904 – Rovereto 1988, è stato un pittore italiano.
Dopo essere stato allievo di Ettore Tito, nel 1922 aderì al Futurismo creando lavori di puri ritmi astratti (vedi “Rumore di locomotiva, 1922).
Allievo di E. Tito all’Accademia di belle arti, il K. ben presto prese le distanze dalla lezione stilistica del maestro. Già a diciotto anni, infatti, l’incontro con F.T. Marinetti, che nel 1922 si trovava a Venezia per presentare la mostra di E. Prampolini, lo colpì a tal punto da condizionare il futuro indirizzo del suo percorso artistico. In tale circostanza, oltre a Marinetti, col quale avviò un’amicizia duratura, conobbe F. Depero e lo stesso Prampolini, e aderì al movimento futurista.
Cosciente della rivoluzione linguistica che il movimento andava operando nelle arti figurative, ne fu lucido propagandista (si fece anche promotore di un gruppo futurista veneziano, costituito insieme con il fratello Francesco, anch’egli pittore, da Magda Falchetto, sua futura moglie, e da Loredana Tron). Korompay Giovanni entrò in contatto con il futurismo nell’epoca in cui veniva divulgato il manifesto dell’arte meccanica, e a interessarlo fu proprio il tema della macchina. Egli mantenne tuttavia una linea di condotta personale rispetto al movimento, non condividendo alcune delle posizioni politiche di Marinetti. Dall’inizio della sua militanza nel futurismo, inoltre privilegiò la composizione geometrica sul dinamismo plastico. Ciò risulta evidente già nel quadro Rumore di locomotiva (1922), prima opera che documenta il suo pieno consenso alla poetica futurista: il richiamo al culto del dinamismo e della macchina appare evidente nelle forme che sintetizzano il movimento rotatorio del locomotore, la cui energia esplosiva trova espressione nei colori vivaci e decisi e nell’eco sonora del titolo.
Nel 1926 ebbe modo di partecipare alla mostra collettiva dei pittori futuristi organizzata dall’Opera Bevilacqua La Masa, esponendo dipinti e incisioni, tecnica quest’ultima in cui gli era stato maestro E. Brugnoli e alla quale si dedicò a partire dal 1924. Tra gli anni Venti e Trenta realizzò collages, assemblaggi, mobili, arredi d’insieme e sculture futuriste in legno; inoltre, suggestionato dalle visioni aeree consentite dall’impiego dei nuovi mezzi d’aviazione, dipinse una serie di aereopitture.
Durante gli anni Trenta il successo professionale gli fu garantito anche dal rapporto che il fascismo aveva instaurato con i futuristi, motivo per cui fu invitato a partecipare a diverse esposizioni ufficiali: nel 1933 espose alla I Mostra nazionale d’arte futurista a Roma e in seguito alla mostra itinerante di aereopittura futurista ad Amburgo e a Berlino; fu inoltre presente alle Quadriennali romane del 1939 e del 1943. Quando tale rapporto cominciò a incrinarsi a favore delle tendenze artistiche sostenute da Margherita Grassini Sarfatti.
Nel 1936 sposò Magda Falchetto, da cui ebbe due figli, Piero e Barbara. Insieme si trasferirono poco dopo a Ferrara, dove era stato chiamato da N. Quilici per collaborare al Corriere padano.
Qui frequentò Tato (G. Sansoni) e A. Magri, aereopittori come lui, con i quali partecipò alla mostra futurista organizzata nel 1940 a Ferrara da Marinetti. Nel 1941, sempre a Ferrara, prese parte alla mostra del gruppo futurista di Savarè (con la moglie Magda, G. Sgarbi e G. Gandini); e nel 1942 espose alla Biennale di Venezia alcune aereopitture.
A partire dagli anni Trenta, oltre che verso le opere futuriste, la sua ricerca si indirizzò verso composizioni geometriche “astratte”. Nello stesso periodo realizzò alcune sculture in legno e bronzo, concepite come assemblaggi di forme primarie di ispirazione cubofuturista.
Nel 1944 una bomba cadde nelle vicinanze dello studio di Korompay , situato nei pressi della stazione, provocando la distruzione della quasi totalità della sua produzione artistica.
Nel 1945 il Corriere padano fu costretto a chiudere; così egli si trasferì con la moglie a Bologna. Qui iniziò a riorganizzare un locale gruppo futurista, di cui divenne segretario; e nel 1951, insieme con Prampolini, G. Acquaviva, U. Peschi e A. Caviglioni, promosse la Mostra nazionale della pittura e scultura futuriste.
A Bologna Korompay continuò a esercitare la professione di giornalista collaborando con il Resto del Carlino. Nel 1954 la sua partecipazione insieme con P. Dorazio, G. Turcato, C. Accardi alla ostra degli astrattisti a Maceratam, dove provocatoriamente espose un quadro intitolato Venezia (ubicazione ignota), provocò il suo definitivo inquadramento al astrattismo, inizio di quell’incomprensione della sua opera durata fino agli anni Ottanta.
Tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Settanta svolse una vita solitaria e ritirata, prevalentemente dedita all’arte.
Nel 1968 la Biennale di Venezia gli dedicò un ampio spazio personale con l’esposizione di diciassette opere, e gli venne assegnato il premio internazionale della critica: da quel momento i suoi lavori raggiunsero quella celebrità che gli consentì di vivere in prevalenza dell’attività artistica, abbandonando la professione di giornalista.
A partire dagli anni Cinquanta la pittura di Giovanni Korompay si mosse in direzione di un rigore geometrico sempre più accentuato.
Significativa fu la sua produzione di acqueforti: in quelle degli anni Sessanta e Settanta i paesaggi industriali e urbani sono interpretati attraverso un procedimento di semplificazione strutturale che li rende riconoscibili solo grazie ai titoli .
Nel 1979 un ictus gli compromise parzialmente l’uso della mano destra, obbligandolo a limitare l’attività artistica. Dal 1984 si trasferì a Rovereto. Dopo la morte della moglie (1986), rimase presso la casa di soggiorno Rovereto, dove gli era stato allestito un atelier personale. Lì morì il 21 marzo 1988.