Futurismo: un’italianità tradita
L’inizio del secolo XIX è caratterizzato da rivoluzionarie scoperte scientifiche e tecniche che provocarono enormi mutamenti nella società e cultura. In tale contesto, il Futurismo opera un radicale cambiamento di prospettiva: immergendosi nella realtà, ribaltando il rapporto oggetto/soggetto e formulando un insieme organico e multidimensionale di proposte estetiche e formali. In particolare, l’Italianità del Futurismo si individua nella sua capillare diffusione in tutte le regioni e province del paese e nella propria struttura organizzativa imperniata nelle persone di Marinetti e dei vari relatori dei manifesti futuristi, quasi sempre italiani. Ancora Marinetti, come ben documentano i famosi “Libroni” recentemente tornati alla luce, divenne il vero manager del movimento e dei suoi artisti, viaggiando per tutto il mondo promuovendo il futurismo in tutte le sue forme. Non solo, divenuto membro dell’Accademia d’Italia, fu in grado di coinvolgere gli artisti futuristi nella realizzazione di opere pubbliche e continuò a gestire il movimento senza, per altro, mai ambire pienamente ad esserne uno degli artisti più rappresentativi.
Anche se l’effettiva espansione nazionale e internazionale del futurismo risultò essere affidata soprattutto ai contenuti ed alle idee dei tanti artisti del movimento piuttosto che ai proclami del Vate. D’altronde, l’estraneità del Futurismo rispetto al fascismo si pone in evidenza sia familiarizzandosi con le proprie opere artistiche e sia enumerando i numerosi seguaci del movimento tra le file degli anarchici e socialisti spagnoli e sudamericani, tra i comunisti sovietici e tra le avanguardie degli artisti di tutto il mondo.
Purtroppo, l’estrema novità e modernità rappresentata dalle proposte del futurismo, in particolare la sua ansia di libertà dalle forme, le scelte estetiche e l’atteggiamento irridente rispetto alle accademie, gerarchie e società borghese procurarono al movimento potenti nemici. Il nascente, ma già potente, complesso industriale della comunicazione e propaganda americana (Hollywood in particolare) dopo aver conosciuto il potere del design, della grafica, delle immagini, delle parole, dei suoni creati dal futurismo preferì appropriarsi direttamente dei suoi contenuti e forme, piuttosto che riconoscere il valore di un movimento artistico ormai etichettato come fascista (vedere in merito il viaggio e il lavoro di Fortunato Depero negli Stati Uniti – 1930-32). Mentre i futuristi anarchici spagnoli scomparivano letteralmente nel vortice della guerra civile, in URSS Stalin, dopo il “suicidio” di Majakovskij, non era certo disposto a tollerare ulteriormente l’ironia, l’estetica e il senso del divertimento futurista.
Iniziò così per il Futurismo un lungo periodo di oblio, insofferenza e ingiustizia, condannando così intere generazioni di artisti, sulla falsa riga di quanto avvenne con Ezra Pound, tutti accomunati indissolubilmente all’ormai tramontato regime fascista. In particolare, nell’Italia del dopoguerra, le istituzioni culturali influenzate una sinistra prevalentemente filosovietica si affannarono a seppellire e rinnegare qualsiasi riferimento al futurismo. L’ostracismo in Italia durò per quasi mezzo secolo: nelle scuole l’argomento era o ignorato totalmente o appena accennato, mentre le opere futuriste erano in gran parte abbandonate negli scantinati dei musei e delle istituzioni. Solo nel 1986, con la mostra “Futurismo e Futurismi”, tenuta a Venezia a Palazzo Grassi, il Futurismo inizia a riemergere alla luce. Mentre in giro per il mondo quello che il movimento aveva seminato cominciava a germogliare: nel design, nelle “parole in libertà” della Beat Generation, nella musica elettronica, nella grafica, nel genere Rap, nella spoken poetry, nell’architettura, nella moda. E forse, con i germogli ormai maturi, un nuovo futurismo ci permetterà di rappresentare adeguatamente a livello artistico anche la nostra società, ormai così diversa e dominata dall’informatica piuttosto che dalle macchine. Una società dove il codice informatico potrebbe ben rappresentare la nuova frontiera dell’estetista nell’arte, come forse avrebbero voluto gli stessi futuristi di allora.
Angelo Cacciola Donati, Futurismo: un’italianità tradita, Onda International Newspaper, 1 Gennaio 2017