Ferruccio Ferrazzi

Ferrazzi Ferruccio

Nacque a Roma il 15 marzo 1891 da Stanislao e da Ester Maria Papi. Insieme col fratello Riccardo, che divenne anche lui pittore, venne precocemente avviato allo studio della pittura antica dal padre, scultore e copista di quadri (Quesada, 1989, p. 91, al quale, se non diversamente indicato, si rimanda per le notizie biobibliografiche). Nel 1896 il F. si trasferì con la famiglia a Recanati, dove si ammalò-gravemente riportandone una menomazione all’udito che ne condizionò il carattere, rendendolo chiuso e introverso. Tre anni dopo la famiglia rientrò a Roma e andò ad abitare nell’Orto di via delle Sette Sale dove, in seguito, il F. impiantò il suo studio, scegliendo spesso il paesaggio della zona come soggetto per i suoi dipinti (Ragghianti-Recupero, 1974, nn. 24, 57, 140). Intorno al 1904 il F. andò a bottega dal pittore F. Bergamini, un allievo di M. Cammarano. L’anno dopo prese a frequentare la scuola libera del nudo, annessa all’Accademia di belle arti, e i corsi serali presso l’Accademia di Francia. Nel 1907, giovanissimo, partecipò con un Autoritratto (ubicazione ignota) alla LXXVII Esposizione della Società degli amatori e cultori di belle arti di Roma, rassegna alla quale prese spesso parte in seguito: nel 1919, ad esempio, con il segantiniano La calce e, l’anno dopo, con il Ritratto (di mio fratello Riccardo), anch’esso di ubicazione ignota (ibid., n. 10, tav. 2).

In questo periodo il F. poteva contare sulla borsa di studio dell’Istituto Catel, vinta nel 1908, in virtù della quale gli fu affiancato, nel ruolo di tutore, il paesaggista Max Roeder. Questi lo introdusse nella cerchia degli artisti tedeschi presenti a Roma, gli trasmise il segno netto e tagliente e, soprattutto, lo portò a guardare la natura con occhio romantico e appassionato, ad interpretarla secondo una personale chiave simbolica. All’influsso di Roeder si deve anche quella dimensione idealistica che il F. diede alla sua arte. Un quadro paradigmatico di questa predisposizione in qualche modo ascetica del giovane ed introverso F., è l’Autoritratto (Roma, coll. Sette), che espose nel 1910 alla Biennale di Venezia e nel quale si rappresentò – rivolto lo sguardo penetrante verso l’esterno – indossando una sorta di abito monacale con il capo coperto dal cappuccio.

Nel 1911 il dipinto Focolare, con cui partecipò alla Esposizione internazionale di Roma, venne acquistato dalla Galleria nazionale d’arte moderna. Alla Biennale di Venezia dell’anno dopo presentò Genesi (Milano, coll. privata), quadro riprodotto nella rivista pescarese La Grande Illustrazione, diretta da B. Cascella (IV [1914], n.4). Sempre nel 1912 vinse il concorso Baruzzi di Bologna con il bozzetto per il dipinto Il presagio (Bologna, Galleria comunale), realizzato l’anno dopo. Nel marzo dello stesso 1913, con il dipinto Genitrice (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna), il F. partecipò alla prima Esposizione internazionale d’arte della Secessione romana.

Nel dicembre il F. vinse il Pensionato artistico nazionale e all’inizio del 1914 si recò per la prima volta all’estero, a Parigi, in compagnia del padre. Rientrato a Roma, in marzo visitò la II Esposizione di pittura futurista, allestita presso la galleria Sprovieri. Negli anni successivi elaborò le tematiche futuriste, in particolare quella del movimento e del dinamismo pur senza abbandonare lo studio analitico dell’arte del passato. L’influsso futurista differenziò lo stile del F. da quello degli altri artisti della Secessione romana. Insieme con alcuni di essi nel 1915 partecipò all’esposizione di Faenza, dove presentò Cavallo rosso, dipinto identificabile con il Carrettiere sul carro (Roma, già coll. Signorelli), esposto l’anno dopo nella sua prima personale, che egli stesso allestì all’annuale mostra della Società degli amatori e cultori. Il dipinto, insieme con molti altri presentati in quell’occasione, si caratterizza per un peculiare andamento mistilineo del telaio, che risponde – come anche l’allestimento della sala – alla “visione prismatica”.

Riallacciandosi alle teorie divisioniste e futuriste, e gettando un ponte tra il suo simbolismo e questi due movimenti ai quali certo guardò ma senza direttamente prendervi parte, il F. elaborò una personale teoria della rappresentazione, secondo la quale la realtà è vista e riflessa in un cristallo prismatico e l’irradiazione di linee che si diparte dal dipinto ne modella il perimetro negandone la dimensione quadrangolare (a partire dagli anni Venti il prisma diverrà oggetto del quadro comparendo spesso all’interno di nature morte).

I soggetti delle opere presentate nella personale del 1916, come accadrà anche in seguito, sono soprattutto legati al vissuto dell’artista: vi erano esposti un Ritratto di mia madre con frutta e fiori, uno dell’amica Matilde Festa (Roma, già coli. Signorelli), futura moglie di M. Piacentini e pittrice anch’ella, ed anche molte vedute di via delle Sette Sale dove, subito dopo, il F. creò il suo studio avendo perso il Pensionato e l’atelier di via Ripetta per avere partecipato all’esposizione della Società degli amatori e cultori.

Nello stesso 1916 il F. si recò a Montreux su invito di W. Minnich, un collezionista che aveva acquistato diverse sue opere in occasione della mostra romana. In Svizzera rimase per circa un anno prendendo anche parte ad una collettiva, nell’aprile del 1917, al Kunsthaus di Zurigo, dove espose cinque recenti lavori, tra cui il Carosello alla Riponne (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna). A Zurigo visitò una mostra di P. Cézanne e annotò minuziosamente il catalogo, decidendo di portarlo anche in Sardegna, a Iglesias, dove nel dicembre dello stesso anno fu inviato per il servizio militare. La dipendenza da Cézanne era, daltro canto, il comune denominatore del disomogeneo gruppo di artisti presenti alla Mostra d’arte giovanile che, curata da Piacentini e C. Tridenti, si tenne nel giugno del 1918alla casina dei Pincio a Roma. In questa mostra, diretta emanazione della Secessione romana conclusasi due anni prima, il F. espose anche il Ritratto di Adele in tre luci del 1917 (Roma, eredi Ferrazzi), un’opera dalle tonalità fauve sulla quale, cinque anni dopo, reintervenne, rifilando la tavola delle parti che erano esterne al primo piano della persona ritratta, sua sorella Adele.

Nel 1919 il F. prese parte, con un nutrito numero di opere, alla Grande Esposizione nazionale futurista (Milano, Galleria centrale d’arte; poi Firenze e Genova). In seguito si stabilì per un breve periodo a Piacenza presso lo studio del pittore vicentino C. Potente, suo amico, con la speranza di entrare in contatto con l’ambiente artistico e con il mercato milanese. Rimasto presto deluso, il 19 giugno scrisse al fratello Riccardo, prospettandogli di costruire insieme uno studio su un terreno di loro proprietà a Tivoli. Nella stessa lettera scrisse di voler portare a termine “il quadro del “Ballo”” per poterlo poi vendere (Quesada, 1989, p. 102). L’opera fu invece esposta, con l’Ospedale (distrutto), alla Biennale di Venezia del 1920per approdare in dicembre all’Exposition internationale dart moderne di Ginevra, dove il F. fu invitato da E. Prampolini, che formò una rappresentanza italiana composta in prevalenza da artisti legati alle avanguardie storiche. I due pittori romani si conoscevano da diverso tempo, almeno dal 1918, quando, nel numero di febbraio di Noi, fu annunciato che il F. avrebbe collaborato – cosa che non avvenne – alla rivista futurista diretta da Prampolini. In concomitanza con la mostra di Ginevra, il 14 genn. 1921, il F. inaugurò a Roma una personale alla Casa d’arte italiana, diretta da Prampolini e da M. Recchi, dove mise in mostra solo opere su carta (compresi due oli), realizzate per la maggior parte in Sardegna.

Molti dei pezzi esposti sono tauromachie, soggetto prediletto dal F. sia per le possibilità espressive legate alla forma dell’animale sia perché incarnanti l’idea di una natura ferina e primordiale, decisamente antiapollinea. Di conseguenza venne accusato di esterofilia e di anticlassicismo da C. E. Oppo, in questi anni vicino al ritorno all’ordine del gruppo “Valori plastici”. Il F. replicò all’accusa aggiungendo al quadro Pescatore del 1920 (Roma, eredi Ferrazzi) la riproduzione del foglio dell’Ideanazionale, sul quale, il 22 genn. 1921, era apparsa la stroncatura di Oppo. Il dipinto, con la modifica della pagina di giornale rappresentata come carta per incartare i pesci, fu esposto in marzo alla prima Biennale romana, mostra alla quale il F. partecipò con un ritratto di Matilde Festa Piacentini con la figlia Sofia, e con una scultura, Dolore, che successivamente distrusse come buona parte della sua produzione plastica.

Nel corso del 1921il F. frequentò, tra gli altri, il musicista A. Casella e i pittori V. Guidi e F. De Pisis, al quale fu probabilmente presentato da Olga Signorelli, amica e collezionista d’entrambi. Nel luglio del 1922sposò Horitia Randone, figlia di Francesco, scultore e ceramista. Nel novembre del 1923 tenne una personale alla II Biennale romana, dove, presentato da R. Papini (catal., pp. 58 s.), espose ventisei lavori, tra cui due sculture, Contemplazione (Roma, credi Ferrazzi, bronzo) e La finestra, e il dipinto Frammento di composizione, datato “1920-21” (Roma, Galleria comunale d’arte moderna e contemporanea). Nel marzo dell’anno seguente la mostra fu visitata da Herta e Arturo Ottolenghi, che acquistarono L’adolescente. Poco dopo essi commissionarono un ritratto che il F. consegnò nel luglio dello stesso anno (Ritratto di Herta con il figlio Astolfo, Acqui Tenne, coll. privata). Da questo momento il rapporto con i due collezionisti si intensificò e nel 1925 il F. elaborò, per la loro tenuta di Monterosso ad Acqui Terme, il progetto di un edificio, che invece venne poi realizzato su disegno di Piacentini, mentre il F. eseguì le decorazioni della sala portate a termine nel 1954: l’edificio venne poi chiamato mausoleo Ottolenghi (Guadagnini, in F. F. il disegno, 1993, pp. 145-186).

Il 17 giugno 1925 il F. fu nominato accademico di S. Luca insieme con A. Bocchi e N. Parisani. Nello stesso mese il suo ritratto di Valeria Gallenga (Young lady) venne esposto alle Lefevre Galleries di Londra in una mostra d’arte italiana contemporanea: a questa esposizione all’estero fecero seguito, nei primi mesi dell’anno dopo, tre altre mostre, tra le quali l'”Exhibition of modem Italian art” alla Grand Central Art Gallery di New York, che fu poi presentata in altre importanti città statunitensi. Qui il F. espose nove recenti opere, tra cui i dipinti Idolodel prisma e Viaggio tragico (in collezioni private, rispettivamente a Roma e New York), mentre con Visione prismatica (Genova, coll. Wolfson) partecipò al premio Camegie di Pittsburgh, al quale prese costantemente parte in seguito.

Viaggio tragico (cartone), al quale lavorava già dal 1919, doveva essere esposto alla prima mostra del Novecento italiano, che, curata da M. Sarfatti, si inaugurò nel febbraio 1926 a Milano. Ma il F. non vi partecipò, così come non prese parte alla Biennale di Venezia, che si aprì in aprile, dal momento che, come scrisse ad A. Maraini, curatore della rassegna veneziana, aveva inviato a New York i lavori migliori degli ultimi due anni; poi, aggiungeva, si sentiva completamente coinvolto dai lavori dei mausoleo Ottolenghi, tanto da preferire la pittura murale a quella da cavalletto (cfr. Quesada, 1989, pp. 107 ss.).

L’esperienza d’oltreoceano proseguì in ottobre con la partecipazione all’annuale esposizione del Camegie Institute di Pittsburgh: grazie al dipinto raffigurante le sue Horitia e Fabiola (Ragghianti-Recupero, 1974, tav. 140), il F. si aggiudicò il primo premio, assegnato da una giuria presieduta da P. Bonnard. Nella primavera del 1927 partecipò con nove dipinti degli ultimi sei anni alla mostra “Italienische Maler” (Zurigo, Kunsthaus), alla quale presero parte, tra gli altri, anche i maggiori rappresentanti del gruppo dei Novecento, quali C. Carrà, M. Sironi, A. Funi, M. Tozzi, A. Salietti. A questa tendenza stilistica, probabilmente, il F. si riferiva quando il 5 maggio 1927, per informare l’Ottolenghi circa gli esiti della mostra zurighese, scrisse: “A vedere il quadro che mi hanno riprodotto in catalogo, il Toro legato [Roma, coll. privata] che feci ad Acqui, mi viene la certezza di non avere nulla in comune con … gli imbalsamatori di corpi morti, tanto sono statici e senza vita” (Quesada, 1989, p. 109).

Nel marzo del 1929 il F. si imbarcò per Cuba, dove, su invito del ministero dei Lavori pubblici, avrebbe dovuto eseguire alcune decorazioni murali, mai realizzate, che definì un “enorme lavoro” in una lettera all’Ottolenghi del 16 giugno (ibid., p. 110). Sempre nel 1929 a Roma prese parte, come espositore e come membro della giuria di accettazione, alla prima Mostra del Sindacato laziale fascista degli artisti, rassegna alla quale partecipò anche nel 1936 e nel 1941 (a Milano, edizione nazionale). Nell’agosto del 1929 iniziò ad insegnare decorazione pittorica all’Accademia di belle arti di Roma.

L’anno dopo inviò tre dipinti a Buenos Aires alla Mostra del Novecento italiano. Agli inizi del 1931, quando venne inaugurata al palazzo delle Esposizioni di Roma la prima Quadriennale d’arte nazionale, rassegna alla quale prese spesso parte in seguito, i contrasti con Oppo, ideatore della mostra, erano da tempo appianati e il F. figurò in quell’occasione come membro della giuria di accettazione, disegnò il manifesto dell’esposizione e allestì una sala personale, la VII, dove presentò quaranta opere degli ultimi sette anni.

Nonostante “le malevoli intenzioni del 900 milanese”, come scrisse Horitia a Herta Ottolenghi (Quesada, 1989, p. 13), il quadro Meriggio, raffigurante un toro legato, entrò a far parte della collezione Contini Bonacossi di Firenze, mentre La diavoleria fuacquistato per la Galleria Mussolini (Roma, Galleria comunale d’arte moderna e contemporanea); qui il F. affrontò un tema della fine degli anni Dieci che lo impegnerà spesso in seguito, sino alla Diavoleria: angoscia del nostro tempo del 1977 (Zambrotta, 1995, p. 304).

Tra le opere esposte nel 1931 erano anche studi preparatori per la decorazione musiva e a fresco del mausoleo Ottolenghi, lavori che il F. era deciso a completare, come scrisse nel testo di autopresentazione in catalogo (pp. 59 s.). Nello stesso 1931 eseguì, a fresco, La Madonna delle nascite per la villa Cardarelli a Premeno. L’interesse per l’affresco è contemporaneo alle prime prove di pittura ad encausto che il F. fece in questi tempi, suggestionato dagli scavi e dai ritrovamenti della pittura pompeiana: “subito mi rivolsi, attorno al trenta, alla ricerca di una materia levigata e smagliante all’opposto dell’aspetto “calcinoso” degli affreschi ottocenteschi”, scriverà nel 1971 nel catalogo di una sua personale presso la galleria Macchi di Pisa.

Il raggio di interesse del F. spaziava fino alle arti applicate, anch’esse intese su scala monumentale. Ricevette l’incarico di realizzare sette arazzi per il palazzo del ministero delle Corporazioni (oggi ministero dell’Industria e Commercio) di Piacentini e A. Vaccaro a Roma. Al momento dell’inaugurazione (30 nov. 1932) il F. presentò solo l’arazzo raffigurante le Corporazioni dei professionisti ed artisti, eseguito dalla ditta Eroli di Roma, mentre il restante lavoro fu documentato dai cartoni preparatori. Per il loro andamento narrativo e antiretorico, gli arazzi non furono collocati dove previsto e ciò sarebbe costato al F. il mancato invito alla Triennale di Milano del 1933, come annotò egli stesso nel 1932 in calce all’invito ad aderire alla Mostra della rivoluzione fascista, esposizione tenutasi nel febbraio dello stesso anno a Roma e alla quale il F. si era rifiutato di partecipare.

Il 20 apr. 1933 venne eletto tra i membri della Reale Accademia d’Italia. L’anno dopo lavorò al mosaico con l’Annunciazione che orna la facciata della chiesa dell’Annunziata a Sabaudia, opera portata a termine in dicembre. Nello stesso 1934 prese parte alla Biennale di Venezia, dove espose il consistente lotto di tredici dipinti, tra cui Nostalgia, acquistato dalla presidenza del Consiglio (ubicazione ignota; Ragghianti-Recupero, 1974, tav. 153), e l’arazzo L’Agricoltura. Gli arazzi delle Corporazioni furono presentati dal F. anche in altre mostre di carattere internazionale, quasi a voler sottolineare l’assurdità della censura patita: due furono esposti, insieme con cinque dipinti, alla mostra parigina “L’art Italien des XIX et XX siècles” che si tenne nel 1935 al Jeu de paume; quattro, insieme con dodici dipinti, alla Biennale veneziana del 1936, dove il F. ebbe una sala personale; due furono infine esposti a Zurigo nel 1938 nella mostra d’arte contemporanea italiana curata da A. Maraini.

In stretto contatto con pittori della scuola romana, sebbene più giovani di lui, quali C. Cagli e A. Ziveri, nel gennaio del 1937 il F. prese parte alla collettiva di disegni che, in ricordo di Scipione (G. Bonichi), fu allestita alla Galleria della Cometa di Roma. In maggio partecipò a Parigi alla mostra d’arte italiana che si tenne nell’ambito dell’Esposizione universale, dove vinse un premio con Esercitazioni ai Parioli (Roma, Ilaria Ferrazzi).

Nel 1938 fece parte della commissione per gli inviti e della giuria per i concorsi alla Biennale di Venezia e vi partecipò anche come espositore con l’encausto Nascita di Venezia (Acqui Terme, coll. privata) e La bella Ninetta (Milano, coll. Cardarelli). Con ventidue dipinti, accompagnati da un testo dedicato alla tecnica dell’encausto (catal., pp. 165 s.), l’anno dopo prese parte a Roma alla III Quadriennale: il Governatorato di Roma vi acquistò Ninetta piccola (Roma, Galleria comunale d’arte moderna e contemporanea). Per il suo grande encausto Re Dario che libera Daniele dalla fossa dei leoni nel palazzo di Giustizia di Milano, portato a termine in luglio insieme con un secondo encausto raffigurante Traiano e la vedova, ilF. venne accusato di giudaismo dal presidente della locale corte d’appello, sorte toccata ad altri artisti chiamati da Piacentini a lavorare per l’edificio da lui progettato.

Tra i protagonisti del muralismo italiano, che proprio negli anni Trenta si andava affermando, il F. realizzò molte opere murali per edifici pubblici, nonostante la ridicola censura patita a Milano; inoltre affiancò la prassi con l’attività didattica (dal 1936 al 1937 insegnò tecniche dell’affresco all’Accademia americana a Roma) e con interventi di carattere teorico come quello pronunciato nell’ottobre 1936 al Convegno di arti Rapporti dell’architettura con le artifigurative, Roma 1937, p. 93).

Nel 1939 iniziò l’encausto il Trionfodella terra per la sala comunale di Pomezia, opera terminata due anni dopo ma andata distrutta nel corso della seconda guerra mondiale (Cardinali-Gavarro, 1993); nel 1940 a Roma lavorò al grande mosaico La nascita di Roma per il prospetto esterno del palazzo dell’Istituto nazionale per la previdenza sociale in piazza Augusto Imperatore. Nel dicembre dello stesso anno ricevette l’incarico per un affresco nella chiesa dei Ss. Pietro e Paolo all’Eur, costruito per l’Esposizione universale Roma 1942: il progetto fu però abbandonato dall’artista a causa delle pressioni ricevute circa il soggetto da rappresentare (lettera a Oppo del 15 marzo 1940: Quesada, 1989, p. 120). Nel 1941 iniziò i due encausti di grandi dimensionì, L’aurora e La scuola, per la sala Galilei dell’ateneo di Padova, portati a termine nel 1942, anno durante il quale esegui l’encausto Cristo giudice nella cappella funeraria della famiglia Gardella (Milano, cimitero Monumentale). Nel marzo del 1943 alla galleria di Roma tenne la sua prima grande antologica, dove, autopresentandosi in catalogo con un testo dal titolo Della mia pittura, espose centoquarantadue lavori che andavano da Mia madre del 1908 a I dannati del 1941.

Nel periodo della guerra il F. realizzò dipinti che risentono dei tragici avvenimenti in corso, quali Apocalisse e La stanza (rispettivamente Milano, coll. Cardarelli, e Roma, eredi Ferrazzi), dipinto, quest’ultimo, sul retro del quale pose la scritta emblematica: “Gli anni dell’orrore”. Con questo quadro, e con altre quarantadue opere realizzate dal 1943 al 1945, il 26 febbr. 1946 inaugurò una personale a Roma nella galleria dell’Art Club.

Nel dopoguerra il F. proseguì l’attività espositiva: dal 1948 prese parte più volte sia alla Quadriennale di Roma sia alla Biennale veneziana; partecipò inoltre al premio Carnegie di Pittsburgh (1950, La stanza), alla Biennale di Milano (1955, 1961, 1965) e ai premi Michetti (Francavilla al Mare, 1953), Marzotto (Milano, 1954-1956) e Fiorino (Firenze, 1966). Intensa continuò anche la produzione di opere murali per edifici pubblici: a Roma eseguì l’affresco della Mater Misericordiae nel collegio Urbano di Propaganda Fide (1946), e, per la chiesa di S. Benedetto, la pala d’altare con storie della Vita del santo (1949), oltre a concludere il ciclo Trionfo della Croce e Visioni della Passione nella basilica di S. Eugenio (1951). Realizzò affreschi nel santuario di S. Rita a Cascia e in S. Maria Assunta ad Amatrice (1951). Agli inizi degli anni Sessanta riprese a scolpire e, a partire dal 1965, iniziò a lavorare, nella sua casa toscana dell’Argentario, al monumentale gruppo di sculture in pietra, tra cui i bassorilievi del Teatro della vita. Dal 1966 fu direttore artistico della scuola del mosaico Vaticano e nel 1968-1971 eseguì con gli allievi il mosaico della chiesa di S. Antonio a Taranto. Il F. morì a Roma l’8 dic. 1978. 

Ferruccio Ferrazzi



(English)
Ferruccio Ferrazzi (15 March 1891 – 8 December 1978 in Rome) was an Italian painter and sculptor as well as a professor at Accademia di Belle Arti of Rome.

Born in Rome, Ferrazzi was the eldest son of the sculptor Stanislao Ferrazzi. In 1904, he was trained in the studio of Francesco Bergamini, a former pupil of Michele Cammarano. The following year he attended the Scuola Libera del Nudo and at the Accademia di Francia. He first exhibited at the 1907 Exhibition (LXXVII Esposizione Internazionale di Belle Arti) in Rome. In 1910, he won a scholarship to the Instituto Catel which allowed him to take up art as a career.

In 1913, he exhibited Genetrix at the First Roman Secession Exhibition (Prima Esposizione internazionale d’arte della Secessione Romana). In December, he was granted the national art pension which gave him financial security and allowed him to set up a studio in Via Ripetta. A visit to the Louvre in Paris revealed his interest in Georges Seurat whose style was similar to his own.

In 1926, he became a professor at the Accademia di San Luca. The same year he was the first Italian to win the Carnegie Prize. In the spring of 1933, he was elected to the Italian Academy. After the war, he created mainly religious works, both paintings and sculptures. In the 1950s, he spent most of his time at the Casa di Santo Stefano in Monte Argentario where he created his ambient sculpture Il Teatro della Vita (The Theatre of Life).

After taking an early interest in Futurism, Ferrazzi finally moved back to Neoclassicism. He is remembered in particular for his interest in encaustic painting which he used in his murals.