Lo splendore geometrico e meccanico
Lo splendore geometrico e meccanico e la sensibilità numerica – F.T. Marinetti, Milano 18 marzo 1914
Noi sbrigammo già il funerale grottesco della Bellezza passatista (romantica, simbolista e decadente) che aveva per elementi essenziali il ricordo, la nostalgia, la nebbia di leggenda prodotta dalle distanze di tempo, il fascino esotico prodotto dalle distanze di spazio, il pittoresco, l’impreciso, l’agreste, la solitudine selvaggia, il disordine multicolore, la penombra crepuscolare, la corrosione, il logorio, le sudicie traccie degli anni, lo sgretolarsi delle rovine, la muffa, il sapore della putrefazione, il pessimismo, la tisi, il suicidio, le civetterie dell’agonia, l’estetica dell’insuccesso, l’adorazione della morte.
Dal caos delle nuove sensibilità contradittorie, nasce oggi una nuova bellezza che, noi Futuristi, sostituiremo alla prima, e che io chiamo Splendore geometrìco e meccanico.
Questo ha per elementi essenziali: l’igienico oblio, la speranza, il desiderio, la forza imbrigliata, la velocità, la luce, la volontà, l’ordine, la disciplina, il metodo; il senso della grande città; l’ottimismo aggressivo che risulta dal culto dei muscoli e dello sport; l’immaginazione senza fili, l’ubiquità, il laconismo e la simultaneità che derivano dal turismo, dall’affarismo e dal giornalismo; la passione per il successo, il nuovissimo istinto del record, l’entusiastica imitazione dell’elettricità e della macchina; la concisione essenziale e la sintesi; la precisione felice degl’ingranaggi e dei pensieri bene oliati; la concorrenza di energie convergenti in una sola traiettoria vittoriosa.
I miei sensi futuristi percepirono per la prima volta questo splendore geometrico sul ponte di una dreadnought. Le velocità della nave, le distanze dei tiri fissate dall’alto del cassero nella ventilazione fresca delle probabilità guerresche, la vitalità strana degli ordini trasmessi dall’ammiraglio e subitamante divenuti autonomi, non più umani, attraverso i capricci, le impazienze e le malattie dell’acciaio e del rame: tutto ciò irradiava splendore geometrico e meccanico. Sentii l’iniziativa lirica dell’elettricità correre attraverso il blindaggio delle torri quadruple, scendere per tubi blindati fino alla santabarbara, traendone gli obici fino alle culatte, fino alle volate emergenti. Mira in altezza, in direzione, alzo, fiamma, rinculo automatico, slancio personalissimo del proiettile, urto, sconquasso, odore di uova fradice, gas mefitici, ruggine, ammoniaca, ecc.
Questo nuovo dramma pieno d’imprevisto futurista e di splendore geometrico, è per noi centomila volte più interessante della psicologia dell’uomo, con le sue combinazioni limitatissime.
Le grandi collettività umane, maree di faccie e di braccia urlanti, possono talvolta darci una leggiera emozione. Ad esse, noi preferiamo la grande solidarietà dei motori preoccupati, zelanti e ordinati. Nulla è piu bello di una grande centrale elettrica ronzante che contiene la pressione idraulica di una catena di monti e la forza elettrica di un vasto orizzonte, sintetizzate nei quadri marmorei di distribuzione, irti di contatori, di tastiere e di commutatori lucenti. Questi quadri sonoi nostri soli modelli in poesia. Abbiamo come precursori i ginnasti e gli equilibristi, che realizzano negli sviluppi, nei riposi e nelle cadenze delle loro muscolature quella perfezione scintillante d’ingranaggi precisi, e quello splendore geometrico che noi vogliamo raggiungere in poesia colle parole in libertà.
1. Noi distruggiamo sistematicamente l’Io letterario perché si sparpagli nella vibrazione universale, e giungiamo ad esprimere l’infinitamente piccolo e le agitazioni molecolari. Es.: Fulmineo agitarsi di molecole nel buco prodotto da un obice (ultima parte di Forte Cheittam-Tépé, nel mio ZANG TUMB TUMB). La poesia delle forze cosmiche soppianta così la poesia dell’umano.
Vengono abolite le antiche proporzioni (romantiche, sentimentali e cristiane) del racconto, secondo le quali un ferito in battaglia aveva una importanza esageratissima in confronto degli strumenti di distruzione delle posizioni strategiche e delle condizioni atmosferiche. Nel mio poema ZANG TUMB TUMB io descrivo la fucilazione di un traditore bulgaro con poche parole in libertà, mentre prolungo una discussione di due generali turchi sulle distanze di tiro e sui cannoni avversarii Notai infatti nella batteria De Suni, a Sidi-Messri, nell’ottobre 1911, come la volata lucente e aggressiva di un cannone arroventato dal sole e dal fuoco accelerato renda quasi trascurabile lo spettacolo della carne umana straziata e morente.
2. Ho più volte dimostrato come il sostantivo, sciupato dai molteplici contatti o dal peso degli aggettivi parnassiani e decadenti, riacquisti il suo assoluto valore e la sua forza espressiva quando vien denudato e isolato. Fra i sostantivi nudi, io distinguo il sostantivo elementare e il sostantivo sintesi-moto (o nodo di sostantivi). Questa distinzione non assoluta, risulta da intuizioni quasi inafferrabili. Secondo un’analogia elastica e comprensiva, vedo ogni sostantivo come un vagone o come una cinghia messa in moto dal verbo all’infinito.
3. Salvo bisogni di contrasti o di mutamento di ritmi, i diversi modi e tempi del verbo devono essere aboliti poiché essi fanno del verbo una ruota sgangherata di diligenza che si adatta alle scabrosità delle strade di campagna, ma non può girare velocemente su una strada liscia. Il verbo all’infinito, invece, è il moto stesso del nuovo lirismo, avendo la scorrevolezza di una ruota di treno, o di un’elica d’aeroplano.
I diversi modi e tempi del verbo esprimono un pessimismo prudente e rassicurante, un egotismo ristretto, episodico, accidentale , un alto e basso di forza e di stanchezza, di desiderio e di delusione, delle soste, insomma, nello slancio della speranza e della volontà. Il verbo all’infinito esprime l’ottimismo stesso, la generosità assoluta e la follia del Divenire. Quando io dico: correre, qual’è il soggetto di questo verbo? Tutti e tutto: cioè irradiamento universale della vita che corre e di cui siamo una particella cosciente.
Es.: Finale del Salone d’albergo del parolibero Folgore. Il verbo all’infinito è la passione dell’io che si abbandona al divenire del tutto, la continuità eroica, disinteressata dello sforzo e della gioia di agire. Verbo all’infinito – divinità dell’azione.
4. Mediante uno o più aggettivi isolati tra parentesi o messi a fianco delle parole in libertà dietro una riga perpendicolare (in chiave), si possono dare le diverse atmosfere del racconto e i toni che lo governano. Questi aggettivi-atmosfera o aggettivi-tono non possono essere sostituiti da sostantivi. Sono convinzioni intuitive difficilmente dimostrabili. Credo però che isolando p. es. il sostantivo ferocia (o mettendolo in chiave, in una descrizione di strage) si otterrà uno stato d’animo di ferocia fermo e chiuso in un profilo netto. Mentre, se io pongo tra parentesi o in chiave l’aggettivo feroce, ne faccio un aggettivo-atmosfera o aggettivo-tono, che avvilupperà tutta la descrizione della strage senza arrestare la corrente delle parole in libertà.
5. Malgrado le più abili deformazioni, il periodo sintattico conteneva sempre una prospettiva scientifica e fotografica assolutamente contraria ai diritti della emozione. Colle parole in libertà questa prospettiva fotografica viene distrutta e si giunge naturalmente alla multiforme prospettiva emozionale. (Es.: Uomo + montagna + vallata del parolibero Boccioni.)
6. Colle parole in libertà, noi formiamo talvolta delle tavole sinottiche di valori lirici, che ci permettono di seguire leggendo contemporaneamente molte correnti di sensazioni incrociate o parallele. Queste tavole sinottiche non devono essere uno scopo, ma un mezzo per aumentare la forza espressiva del lirismo. Bisogna dunque evitare ogni preoccupazione pittorica, non compiacendosi in giochi di linee, né in curiose sproporzioni tipografiche.
Tutto ciò che nelle parole in libertà non concorre ad esprimere col nuovissimo splendore geometrico-meccanico la sfuggente e misteriosa sensibilità futurista, deve essere risolutamente bandito. Il parolibero Cangiullo in Fumatori II°, fu felicissimo nel dare con questa analogia disegnata:
F U M A R E
le lunghe e monotone fantasticherie e
l’espandersi della noia-fumo di un lungo
viaggio in treno.
Le parole in libertà, in questo sforzo continuo di esprimere colla massima forza e la massima profondità, si trasformano naturalmente in auto-illustrazioni, mediante l’ortografia e tipografia libere espressive, le tavole sinottiche di valori lirici e le analogie disegnate. (Es.: Il pallone disegnato tipograficamente nel mio ZANG TUMB TUMB) Appena questa maggiore espressione è raggiunta, le parole in libertà ritornano al loro fluire normale. Le tavole sinottiche di valori sono inoltre la base della critica in parole in libertà. (Es.: Bilancio 1910-1914 del parolibero Carrà.)
7. L’ortografia e la tipografia libere espressive servono inoltre ad esprimere la mimica facciale e la gesticolazione del narratore. Così le parole in libertà giungono ad utilizzare (rendendola completamente) quella parte di esuberanza comunicativa e di genialità epidermica che è una delle caratteristiche delle razze meridionali. Questa energia d’accento, di voce e di mimica che finora si rivelava soltanto in tenori commoventi e in conversatori brillanti, trova la sua espressione naturale nelle sproporzioni dei caratteri tipografici che riproducono le smorfie del viso e la forza scultoria e cesellante dei gesti. Le parole in libertà diventano così il prolungamento lirico e trasfigurato del nostro magnetismo animale.
8. Il nostro amore crescente per la materia, la volontà di penetrarla e di conoscere le sue vibrazioni, la simpatia fisica che ci lega ai motori, ci spingono all’uso dell’onomatopea.
Il rumore, essendo il risultato dello strofinamento o dell’urto di solidi, liquidi o gas in velocità, l’onomatopea, che riproduce il rumore, è necessariamente uno degli elementi più dinamici della poesia. Come tale l’onomatopea può sostituire il verbo all’infinito, specialmente se viene opposta ad una o più altre onomatopee. (Es.: l’onomatopea tatatata delle mitragliatrici, opposta all’urrrraaaah dei Turchi nel finale del capitolo “Ponte”, del mio ZANG, TUMB, TUMB).
La brevità delle onomatopee permette in questo caso di dare degli agilissimi intrecci di ritmi diversi. Questi perderebbero parte della loro velocità se fossero espressi più astrattamente, con maggior sviluppo, cioè senza il tramite delle onomatopee.
Vi sono diversi tipi di onomatopee:
a)Onomatopea diretta imitativa elementare realistica, che serve ad arricchire di realtà brutale il lirismo e gli impedisce dì diventare troppo astratto o troppo artistico. (Es.: pic pac pum, fucileria.) Nel mio Contrabbando di guerra, in ZANG, TUMB, TUMB,, l’onomatopea stridente ssiiiii dà il fischio di un rimorchiatore sulla Mosa ed è seguita dall’onomatopea velata ffiiii ffiiiiiii, eco dell’altra riva. Le due onomatopee mi hanno evitato di descrivere la larghezza del fiume, che viene così definita dal contrasto delle due consonanti s ed f.
b)Onomatopea indiretta complessa e analogica. Es.: nel mio poema Dune l’onomatopea dum-dum-dum-dum esprime il rumore rotativo del sole africano e il peso arancione del cielo, creando un rapporto tra sensazioni di peso, calore, colore, odore e rumore. Altro esempio: l’onomatopea stridionla stridionla stridionlaire che si ripete nel primo canto del mio poema epico La Conquete des Etoiles forma un’analogia fra lo stridore di grandi spade e l’agitarsi rabbioso delle onde, prima di una grande battaglia di acque in tempesta.
c) Onomatopea astratta, espressione rumorosa e incosciente dei moti più complessi e misteriosi della nostra sensibilità. (Es.: nel mio poema Dune, l’onomatopea astratta ran ran ran non corrisponde a nessun rumore della natura o del macchinismo, ma esprime uno stato d’animo.)
d)Accordo onomatopeico psichico, cioè fusione di 2 o 3 onomatopee astratte.
9. L’amore della precisione e della brevità essenziale mi ha dato naturalmente il gusto dei numeri, che vivono e respirano sulla carta come esseri vivi nella nostra nuova sensibilità numerica. Es.: invece di dire, come qualsiasi scrittore tradizionale: “un vasto e profondo rintocco di campana” (notazione imprecisa e perciò inefficace), oppure, come un contadino intelligente: “questa campana si può dire dal villaggio tale o tal’altro” (notazione più precisa ed efficace), io afferro con precisione intuitiva la potenza del rimbombo e ne determino l’ampiezza, dicendo “campana rintocco ampiezza 20 kmq.” Io do così tutto un orizzonte vibrante e una quantità di esseri lontani che tendono l’orecchio al medesimo suono di campana. Esco dall’impreciso, dal banale, e m’impadronisco della realtà con un atto volitivo che soggioga e deforma originalmente la vibrazione stessa del metallo.
I segni matematici + – x = servono a ottenere delle meravigliose sintesi e concorrono, colla loro semplicità astratta d’ingranaggi anonimi, a dare lo splendore geometrico e meccanico. Per esempio, sarebbe stata necessaria almeno un’intera pagina di descrizione, per dare questo vastissimo e complicato orizzonte di battaglia, che ha trovato invece questa equazione lirica definitiva: “orizzonte =trivello acutissimo del sole + 5 ombre triangolari (1 km.di lato) + 3 losanghe di luce rosea + 5 frammenti di colline + 30 colonne di fumo + 23 vampe”.
Io impiego l’x, per indicare le soste interrogative del pensiero. Elimino così il punto interrogativo, che localizzava troppo arbitrariamente su un punto solo della coscienza la sua atmosfera di dubitazione.
Coll’x matematico, la sospensione dubitativa si spande ad un tratto sull’intera agglomerazione di parole in libertà.
Sempre intuitivamente, io introduco tra le parole in libertà dei numeri che non hanno significato né valore diretto, ma che (indirizzandosi fonicamente e otticamente alla sensibilità numerica) esprimono le varie
intensità trascendentali della materia e le rispondenze incrollabili della sensibilità.
Io creo dei veri teoremi o delle equazioni liriche, introducendo dei numeri intuitivamente scelti e disposti nel centro stesso di una parola, con una certa quantità di + – x =, io do gli spessori, il rilievo, i volumi delle cose che la parola deve esprimere. La disposizione + – + – + + x serve a dare, per es. i cambiamenti e l’acceleramento di velocità di un automobile. La disposizione serve a dare l’affastellamento di sensazioni eguali. (Es.: “odore fecale della dissenteria + puzzo melato dei sudori della peste + tanfo ammoniacale ecc. “, nel Treno di soldati ammalati del mio ZANG, TUMB, TUMB).
Così al “ciel antérieur où fleurit la beauté” di Mallarmé, noi sostituiamo lo splendore geometrico e meccanico e la sensibilità numerica nelle parole in libertà.
F.T. Marinetti, Milano 18 marzo 1914