La declamazione dinamica e sinottica
La declamazione dinamica e sinottica. Manifesto futurista. 11 marzo 1916
Aspettando l’onore-piacere di ritornare al fronte, noi futuristi rinnoviamo acceleriamo e virilizziamo il genio della nostra razza. La nostra attività cresce continuamente. Una grande esposizione futurista di Balla a Roma. Una conferenza di Boccioni sulla pittura futurista all’Istituto di Belle Arti di Napoli. Il manifesto di Boccioni ai Pittori Meridionali. Una conferenza di Boccioni sulla pittura futurista a Mantova. Una conferenza-declamazione sulle parole in libertà di Marinetti, Cangiullo, Jannelli, Bruno Corra all’Istituto di Belle Arti di Napoli. Le pagine futuriste di «Vela Latina» dirette da Francesco Cangiullo.8 serate futuriste sull’Arte dei rumori e gli Intonarumori di Luigi Russolo e Ugo Piatti in casa Marinetti.
Ho offerto agli uomini politici l’unica soluzione del problema finanziario: vendita graduale e sapiente del nostro patrimonio artistico per centuplicare la potenza militare industriale commerciale e agricola dell’Italia, e schiacciare definitivamente il nostro odiato eterno nemico l’Austria.
Ieri, Settimelli, Bruno Corra, Remo Chiti, Francesco Cangiullo, Boccioni ed io eccitavamo il pubblico fiorentino alla guerra mediante il nostro teatro sintetico violentemente patriottico antineutrale e antitedesco. Oggi voglio liberare gli ambienti intellettuali dalla vecchia declamazione statica pacifista e nostalgica e creare una nuova declamazione dinamica sinottica e guerresca.
Il mio indiscutibile primato mondiale di declamatore di versi liberi e di parole in libertà mi ha permesso di constatare le deficienze della declamazione com’è stata compresa fino ad oggi. Questa declamazione passatista, anche quando è sorretta dai più meravigliosi organi vocali e dai temperamenti più forti, si riduce sempre ad una inevitabile monotonia di alti e di bassi, a un andirivieni di gesti che inondano di noia reiteratamente la rocciosa imbecillità dei pubblici di conferenze.
Per troppo tempo, io mi sono divertito a sedurli e a commuoverli meglio e con maggior sicurezza di tutti gli altri declamatori di Europa, introducendo nei loro cervelli ottusi le immagini più strabilianti, accarezzandoli con raffinatissimi spasimi di voce, con mollezza e brutalità vellutate finché, domati dal mio sguardo o allucinati da un mio sorriso, essi sentivano il bisogno femminile di applaudire ciò che non avevano capito e che non amavano.
Ho esperimentato sufficientemente la femminilità delle folle e la debolezza della loro verginità collettiva, nell’imporre i versi liberi futuristi. I trucchi più perfezionati della mimica facciale e dei gesti servivano mirabilmente alle prime forme di lirismo futurista, il quale, riassumendo tutte le tendenze simboliche e decadenti, era in certo modo la più spasimosa e completa umanizzazione dell’universo.
Ciò che caratterizza il declamatore passatista è l’immobilità delle sue gambe, mentre l’agitazione eccessiva della parte superiore del suo corpo dà l’impressione d’un burattino affacciato a un teatrino di fiera e impugnato di sotto dal burattinaio.
Col nuovo lirismo futurista, espressione dello splendore geometrico, il nostro io letterario brucia e si distrugge nella grande vibrazione cosmica, così che il declamatore deve anch’esso sparire, in qualche modo, nella manifestazione dinamica e sinottica delle parole in libertà.
Il declamatore futurista deve declamare colle gambe come colle braccia. Questo sport lirico obbligherà i poeti ad essere meno piagnucolosi, più attivi, più ottimisti.
Le mani del declamatore devono manovrare i diversi strumenti rumoreggiatori. Non le vedremo più remeggiare spasmodicamente nel cervello torbido dell’uditorio. Non avremo più delle gesticolazioni da direttore d’orchestra che cadenzi le frasi, né le gesticolazioni del tribuno, più o meno decorative, né quelle languide d’una prostituta sul corpo di un amante stanco. Mani che accarezzano o fanno merletti, mani che supplicano, mani di nostalgia o di sentimentalismo: tutto ciò sparirà nella dinamica totale del declamatore.
Il declamatore futurista dovrà dunque:
- ― Vestire un abito anonimo (possibilmente, di sera, uno smocking) evitando tutti gli abiti che suggeriscono ambienti speciali. Niente fiori all’occhiello, niente guanti.
- ― Disumanizzare completamente la voce, togliendole sistematicamente ogni modulazione o sfumatura.
- ― Disumanizzare completamente la faccia, evitare ogni smorfia, ogni effetto d’occhi.
- ― Metallizzare, liquefare, vegetalizzare, pietrificare ed elettrizzare la voce, fondendola colle vibrazioni stesse della materia, espresse dalle parole in libertà.
- ― Avere una gesticolazione geometrica, dando così alle braccia delle rigidità taglienti di semafori e di raggi di fari per indicare le direzioni delle forze, o di stantuffi e di ruote, per esprimere il dinamismo delle parole in libertà.
- ― Avere una gesticolazione disegnante e topografica che sinteticamente crei nell’aria dei cubi, dei coni, delle spirali, delle ellissi, ecc.
- ― Servirsi di una certa quantità di strumenti elementari come martelli, tavolette di legno, trombette d’automobili, tamburi, tamburelli, seghe, campanelli elettrici, per produrre senza fatica e con precisione le diverse onomatopee semplici o astratte e i diversi accordi onomatopeici. Questi diversi strumenti, in certe agglomerazioni orchestrali di parole in libertà possono agire orchestralmente, ognuno maneggiato da uno speciale esecutore.
- ― Servirsi di altri declamatori uguali o subalterni, mescolando o alternando la sua con la loro voce.
- ― Spostarsi nei differenti punti della sala, con maggiore o minore rapidità correndo camminando lentamente, facendo così collaborare il movimento del proprio corpo allo sparpagliamento delle parole in libertà. Ogni parte del poema così avrà una sua luce speciale e il pubblico, pur seguendo magnetizzato la persona del declamatore, non subirà staticamente la forza lirica, ma concorrerà, nel voltarsi verso i diversi punti della sala, al dinamismo della poesia futurista.
- ― Completare la declamazione con 2, 3, o 4 lavagne disposte in diversi punti della sala, e sulle quali egli deve disegnare rapidamente teoremi equazioni e tavole sinottiche di valori lirici.
- ― Deve essere un inventore e un creatore instancabile nella sua declamazione:
- a) decidendo istintivamente ad ogni istante il punto in cui l’aggettivo-tono e l’aggettivo atmosfera deve essere pronunciato e ripetuto. Non essendovi, nelle parole in libertà, nessuna indicazione precisa, egli deve seguire in ciò soltanto il suo fiuto, preoccupandosi di raggiungere il massimo splendore geometrico e la massima sensibilità numerica. Così egli collaborerà coll’autore parolibero, gettando intuitivamente nuove leggi e creando nuovi orizzonti imprevisti nelle parole in libertà che egli interpreta.
- b) Chiarendo e spiegando, colla freddezza d’un ingegnere o d’un meccanico, le tavole sinottiche e le equazioni di valori lirici che formano delle zone di evidenza luminosa, quasi geografica (fra le parti più oscure e più complesse delle parole in libertà) e delle momentanee concessioni alla comprensione del lettore.
- c) Imitando in tutto e per tutto i motori e i loro ritmi (senza preoccuparsi della comprensione) nel declamare queste parti più oscure e più complesse e specialmente tutti gli accordi onomatopeici.
La lª Declamazione dinamica e sinottica, ebbe luogo il 29 marzo 1914 nel salone dell’Esposizione Futurista permanente in Roma, Via del Tritone, 125.
Cominciai collo spiegare al pubblico il valore artistico e simbolico dei diversi strumenti onomatopeici. Nella tofa, grossa conchiglia, dalla quale gli scugnizzi traggono soffiando una melopea tragicomica turchino-scura, io ho scoperto una feroce satira della mitologia con tutte le sue sirene, i suoi tritoni e le sue conche marine, che popolano il golfo passatista di Napoli.
Il putipù (rumore arancione), chiamato anche caccavella o pernacchiatore, piccola scatola di stagno o di terracotta coperta di pelle nella quale è confitto un giunco che rumoreggia buffonescamente se strofinato da una mano bagnata, è l’ironia violenta colla quale una razza sana e giovane corregge e combatte tutti i veleni nostalgici del Chiaro di luna.
Lo scetavaiasse (rumore rosa e verde), che ha per archetto una sega di legno, ricoperta di sonagli e di pezzi di stagno, è la parodia geniale del violino quale espressione della vita interna e dell’angoscia sentimentale. Ridicolizza spiritosamente il virtuosismo musicale, Paganini, Kubelik, gli angeli suonatori di viola di Benozzo Gozzoli, la musica classica, le sale di Conservatorio, piene di noia e di tetraggine deprimente.
Il triccabballacche (rumore rosso) è una specie di lira di legno che ha per corde delle fini sottili aste di legno, terminate da martelli quadrati, pure di legno. Si suona come i piatti, aprendo e chiudendo le mani alzate che impugnano i due montanti. È la satira dei cortei sacerdotali greco-romani e dei ceteratori che fregiano le architetture passatiste.
Poi, declamai dinamicamente: Piedigrotta, meravigliose e travolgenti parole in libertà scaturite dal genio esilarantissimo e originalissimo di Francesco Cangiullo, grande parolibero futurista, primo scrittore di Napoli, e primo umorista d’Italia. Balzava di quando in quando al pianoforte l’autore, che alternava con me la declamazione delle sue parole in libertà. La sala era illuminata a lampadine rosse che raddoppiavano il dinamismo del fondale piedigrottesco dipinto da Balla. Il pubblico salutò con un applauso frenetico l’apparizione del corteo della troupe nana, irta di cappelli fantastici di carta velina, che girava intorno a me, mentre declamavo.
Ammiratissimo il vascello variopinto che portava sulla testa il pittore Balla. Spiccava in un angolo la natura morta color verde-bile di tre filosofi crociani, gustosa stonatura funeraria nell’ambiente ultracceso di Futurismo. Coloro che credono in un’arte gioiosa, ottimista e divinamente spensierata, trascinarono gli indecisi. Il pubblico accompagnò con la voce e col gesto il meraviglioso frastuono che scoppiava a quando a quando nella mia declamazione, la quale risultava evidentissima ed efficacissima nella sua fusione con gli strumenti onomatopeici.
La seconda declamazione dinamica e sinottica fu fatta da me a Londra il 28 aprile 1914, nella Doré Galleries.
Declamai dinamicamente e sinotticamente parecchi brani del mio Zang tumb tumb (assedio di Adrianopoli). Sulla tavola davanti a me erano disposti un apparecchio telefonico, delle assicelle e dei martelli appositi, che mi permettevano d’imitare gli ordini del generale turco e i rumori della fucileria e delle mitragliatrici.
In tre punti della sala erano preparate tre lavagne alle quali mi avvicinavo alternativamente, camminando o correndo, per disegnarvi in modo effimero, col gesso, un’analogia. Gli ascoltatori voltandosi continuamente per seguirmi in tutte le mie evoluzioni, partecipavano con tutto il corpo acceso di emozione agli effetti di violenza della battaglia descritta colle mie parole in libertà.
In una sala lontana erano disposti due grandi tamburi, dai quali il pittore Nevinson, che mi coadiuvava, traeva il rombo del cannone, quando io glielo indicavo con segnali telefonici. L’interesse crescente del pubblico inglese diventò frenetico entusiasmo quando raggiunsi il massimo dinamismo alternando il canto bulgaro Sciumi Maritza col bagliore delle mie immagini e il fragore delle artiglierie onomatopeiche.
Filippo Tommaso Marinetti, La declamazione dinamica e sinottica. Manifesto futurista, 11 marzo 1916