La tuta? L’ idea di un futurista
Si racconta che quando quello stravagante e bizzarro artista futurista e geniale, un po’ pittore e un po’ scultore e un po’ stilista, decise di inventarla, pensò che così avrebbe risolto il problema del caro-vestiario. Ed è vero, la «Tu-ta», nell’ anno di nascita 1920, ce la si poteva realizzare a casa con pochi soldi. Naturalmente con l’ aiuto di quel volantino «preciso» che il suo creatore, quell’ Ernesto Michaelles, in arte Thayaht fece stampare in più copie perché le masse potessero sapere. Ma l’ idea era così snob e chic (l’ omologazione essenziale in un periodo comunque di leziosità e leccature nello stile) che i primi ad indossarla furono i ricchi fiorentini. Anche ai ricevimenti. A Palazzo Rucellai per esempio. E «tutisti» convinti si dichiararono il critico Ugo Ojetti, lo scultore Libero Andreotti ed il pittore Aldo Carpi. Una doppia anima, che si rivela da subito: economica e distintiva. Dopo, ma molto dopo. Arrivarono le tute blu. E le blasfemie alla Madonna e Jane Fonda! Da ieri e sino al 15 aprile, a Prato, a tuta e inventore il Museo del tessuto dedica una mostra che vuole anche essere l’ omaggio al capo che, per eccellenza, in tutto il mondo è riconosciuto come «italiano». È datato 20 luglio 1920 l’ articolo apparso sulla Nazione che ne documenta la nascita: «È un abito intero da uomo a forma di T con cintura in vita e 4 tasche. Non si tratta di un abito da lavoro ma di un capo, pratico e moderno, da portare quotidianamente». Tu-Ta, perché sta per Tutta, senza una T che è la sua forma, secondo quei giochi di parole e suoni cari ai futuristi. Dalla tuta dalle maniche a sbuffo e la foggia da paggio di Norma Kamali a quella in shantung super-sexy-elasticizzata di Pucci (1960). E poi la versione sportiva (Formula 1, 2002, la Grado Zero Space) e tecnologica (la idrorepellente, Beaufort Equipment Ltd, 1965) e teatrale (de «I Pagliacci» di Bussotti, 1978) e militare (da aviatore, 1938) e «sociale», come la versione che indossavano gli «Angeli del fango» dopo l’ alluvione di Firenze nel 1966. Il successo oltre le aspettative allora. E sicuramente anche dopo. Quando divenne tutt’ uno con la classe operaia. Per poi sdoppiarsi (fu sempre opera di Thayaht) e diventare la bi-tuta, antesignana della ginnica.
Il «toscanaccio» – era nato a Firenze nel 1893 – vide tutto questo – morì a Pietrasanta nel ‘ 59 – ma non si fermò mai. Più di uno sostiene che fu lui ad inventare il made in Italy, specie nella moda. Fra genio e sregolatezza. Non solo la tuta, ma il manifesto della «moda solare», le campagne per sostenere «i cappelli di paglia», i «sandali di Firenze» e quelli «di Forte dei Marmi»: più leggeri e pratici (erano gli anni Venti!) delle scarpe stringate e costrittive. E poi i «guanti cennatori», che indicano la direzione, antesignani delle frecce! Tutto è in mostra. Anche i lavori dell’ artista per madame Vionnet, un rapporto che segnò (dal 1919 al 1925) entrambi perché cubismo, astrattismo incontrarono per la prima volta pizzi e chiffon, segnando e creando uno stile unico che a ruches e plissé preferiva tagli geometrici e rotondità mai viste. Più di trecento pezzi esposti. Alcuni mai visti. A chiudere la premiazione del vincitore del concorso fra le migliori scuole di designer per riprogettare la Tuta. Inciso: coincidenza o ricorso la tuta è tornata persino sulle passerelle. A 87 anni. * * * Il disegno Istruzioni Indicazioni su come confezionare la tuta a casa firmato Thayaht. Un documento inedito che sarà esposto al museo di Prato. L’ artista volle che fosse stampato e distribuito perché chiunque potesse con un pezzo di stoffa creare da se l’ indumento L’ articolo La Nazione di Firenze il 20 luglio 1920: «La tuta è un abito intero da uomo a forma di T. Non un abito da lavoro, ma un capo pratico e moderno da indossare tutti i giorni».
Pollo Paola